Blog Personale
A volte mi viene quasi facile scrivere di getto cosa ho appena vissuto.
Questa volta no, mi ci sono voluti mesi per metabolizzare totalmente un’ avventura, forse una delle più forti vissute da solo nella mia vita.
Veneto Gravel. Per chi non sa cosa sia è un evento Gravel, un giro quasi completo del Veneto di circa 720 km con 4000 metri di dislivello. Partenza da Bassano del Grappa, su per Belluno, poi giù per Vittorio Veneto; dalle montagne al mare di Caorle e Jesolo e ancora via per Treviso, Padova e sempre dritto fino a Peschiera, poi Verona, sfiorare Vicenza dai Colli Euganei, ciclabile del Brenta e riecco Bassano.
E’ vero, esiste anche un tracciato da 200 km e due da 400 km, ma nemmeno presi in considerazione nella mia testa. Volevo confrontarmi con qualcosa di fuori scala e volevo farlo a modo mio, in totale autonomia e da solo. Fino a due mesi prima della gara non avevo mai superato la distanza di 200 km, la mia prima bici da corsa l’ho presa nel 2021 e la mia prima gravel nel 2023.
Partenza venerdi pomeriggio e tempo massimo entro il mercoledi successivo. Scelta dalla bicicletta, attrezzatura e soste tutto a discrezione dell’atleta.
Lo ammetto, non sapevo a cosa sarei andato in contro, ma ho deciso di affrontarlo, esattamente con la stessa incoscienza che mi ha fatto arrivare in vetta all’Adamello da solo, nell’estate del 2008, con pochissima attrezzatura,poca esperienza e con in testa un cappello di paglia. In fondo l’esperienza si fa sul campo no? E il fascino di ciò che non conosciamo ma ci attira dove lo mettiamo?
Da qualche parte nella nostra testa c’è sempre una vocina che ci dice “vai”, serve solo coraggio per ascoltarla.
Ho passato le sere prima della gara a smontare e rimontare la bici, le borse, testare le luci e fare nella mia mente tutti i possibili scenari e le possibili soluzioni per affrontare ogni imprevisto.
La mattina del 19 ho fatto tutto il viaggio dentro il mio furgone cantando per sfogare la tensione, cercando in modo isterico tutte le mie canzoni preferite su Spotify. Poi senza quasi accorgermene mi sono ritrovato con il numero sulla bici pronto per partire.
Ore 15:00 di Venerdi pomeriggio inizio a pedalare.
Dei primi km ricordo i bellissimi paesaggi che salgono verso Belluno, e le gambe che volevano correre ma la testa che mi urlava di non fare il pirla visto che di strada da fare ce ne era davvero tanta da affrontare. Al primo check point, la luce iniziava a scarseggiare e il freddo a farsi pungente. Non ricordo nemmeno cosa ho mangiato e sono ripartito quasi subito, sapevo che volevo passare Belluno e iniziare la discesa, per perdere quota e cerca di affrontare la notte ad una quota più bassa. Verso le 22 mi sono fermato a Vittorio Veneto per mangiarmi una pizza e bermi una birra. Forse 40 minuti di sosta e poi sono ripartito. Li ho iniziato a capire davvero che non mi aspettava un letto caldo da qualche parte, ma una notte buia per pedalare. Il freddo era tremendo, a detta di tutti molto più freddo di un normale aprile. Una discesa lunga e buia, qualche paese totalmente anonimo per poi arrivare sugli argini del fiume Livenza. Una striscia di terra sopra elevata larga giusta per il passaggio di una bicicletta, con erba ai lati di quella che ti bagna le scarpe, le stelle, la luce della tua bici, il tuo respiro affannato e nient’altro. Cosi per molti km, mi sembravano infiniti, forse perché ero stanco o forse perché avevo paura. Verso le 2 di notte ho capito che ero davvero al limite e ho deciso di fermarmi. Avevo scorto dagli argini una chiesetta e ho deciso di andare a darci un occhiata. Sul suo retro aveva un piccolo marciapiede in ciotoli che mi sembrava perfetto per ospitarmi per qualche ora. Km fatti circa 180. Ho dormito poco, per il freddo sopratutto. Sacco a pelo estivo, materassino, sacco da bivacco e una felpa non sono bastati. La ripartenza è stata veloce, c’era solo un modo per placare il freddo: pedalare. Caorle è arrivata quasi subito, un rapido giro in torno al faro e via verso Jesolo. Il Mare era bello, senza il caos estivo, ma non lo sentivo mio come spazio, sono un uomo di pianura che brama le montagne. Dopo qualche ora mi sono trovato a Treviso, scoprendo una città molto carina, dove ho pranzato per poi puntare diretto a Padova. Il sole iniziava a scendere, ma non volevo fermarmi in una grande città, sapevo che non avrei trovato facilmente un’altra chiesetta ad accogliermi. Alle 21 è Este ad accogliermi, lego la bici sotto un portico ed entro a mangiarmi un hamburger, sempre con un occhio fuori. Mi ero guardato in giro prima di entrare, ma non mi sentivo tranquillo, troppa gente in giro, troppe facce un po’ cosi, o forse avevo solo troppo freddo e ho deciso di cercare un albergo alla buona. Ne trovo uno a pochi km dall’hamburger più gustoso del mondo e mi fiondo. Bici ovviamente in camera con me, portata su per delle scale strette con tante bestemmie. Doccia, tutti i dispositivi elettronici in carica e fiondato a letto. Giorno due 230 km.
Domenica, sveglia alle 6 e dopo mezz’ora ero già in bici. Mi aspettava la giornata più dura e più ambiziosa della mia vita da ciclista e lo sapevo.
Prima colazione dopo poco, poi come ogni buon hobbit anche la seconda colazione.
Poco dopo Este inizia un piattone infinito che quindi dalla provincia di Padova arriva fino a Borghetto, con pochi paesini interessanti nel mezzo. Testa bassa e pedalare. Appena prima di prendere la ciclabile che collega Mantova a Peschiera, un single track da panico, così a gratis, mi ricordo di aver pensato “adesso mi capotto” 26 volte al minuto per tutta la discesa che per fortuna è stata corta. Finalmente vedo le fortificazioni Peschiera, che suonano quasi di casa visto che è una zona che frequento molto in estate. Ma questa volta niente gin tonic su al chiosco, questa volta due tranci di pizza da asporto per provare a ricaricare le batteria. Riparto. Inizio a capire che è dura, molto dura, non riesco a rispettare le tempistiche che mi ero dato, ma c’era poco da fare, c’era solo da pedalare. Verona arriva abbastanza velocemente e mi fa sorridere vedere per la prima volta l’Arena arrivandoci in bicicletta, forse lì ho proprio capito come la bici ti permetta di vedere le cose in un modo diverso, anche quelle che ti sembra di conoscere molto bene. La traccia mi porta ad Ovest e poi su, mi mancano solo i Colli Euganei e poi salire verso Bassano. I colli li affronto al tramonto e mi regalano un panorama pazzesco. Discesa verso Vicenza, che purtroppo non ho visto perché la traccia passava esternamente alla città sul lato nord.
Mi fermo per accendere le luci della bici, iniziare a mettere tutti i vestiti che avevo con me per il freddo e controllo nella borsa sulla canna della bici, ultimo gel quindi carburante quasi finito.
Troverò qualcosa no? Penso. Sbagliando. Avevo fatto circa 230 km, ero cotto, ma sapevo esattamente che me ne mancavano ancora 70. Decido di cambiare schermata al mio Garmin, non volevo più sapere né quanti km avevo fatto né quanti ne mancavano, in fondo non c’era un opzione B. Dovevo arrivare a Bassano a qualsiasi costo e a qualsiasi ora.
Ad attendermi c’era la ciclabile del Brenta, una lunga lingua che sale, attraversando boschi e qualche casa, al buio totale e con qualche goccia di pioggia che rendeva tutto maledettamente viscito, la luce del mio fanale rendeva tutto ancora più da film. Mi sentivo maledettamente solo, le gambe avevano dolori ovunque, il sotto sella non ne parliamo, ma avevo capito che arrivare era una questione quasi esclusivamente di testa. Fuori da un tratto boschivo molto fitto, vedo un agriturismo ma sopratutto vedo un ciclista fermo, con la mantellina termica, in un angolo. Scambio qualche parola, aveva ancora cibo ma non ce la faceva più ed aveva deciso di fermarsi. Mancavano forse 20 km all’arrivo, ad un pasto caldo e a tutto il resto, ma aveva mollato. Io no, non mollavo.
Dopo poco mi sono trovato in una zona industriale, ho decido di guardare il contachilometri ed ero a 9km dalla meta.
Vedo una santella appena varcato il confine di Bassano e sorrido, penso a quella che il giorno prima mi ha fatto da provvidenziale rifugio per un acquazzone, schivandolo totalmente. Passo un ponte, non quello degli alpini, quello più a Sud e vedo verso Nord quello famoso.
Penso a mio padre che ha fatto la naja negli alpini e penso a una lezione che una volta mi ha dato e che non scorderò mai.
Stavo facendo le guide, con il suo furgone in tangenziale (ora sarebbe follia). Capisco che il mezzo davanti a me era lento, tento di sorpassarlo ma esco timidamente. Mio padre non mi disse di non sorpassare, ma che se volevo farlo, di farlo con decisione e fino in fondo.
Ecco, le cose per me si fanno così, fino in fondo.
Vedo il viale che conduce all’arrivo, inizio a piangere. Mille pensieri, mille pesi vecchi e nuovi svaniscono in un secondo. C’ero solo io con la gioia di aver raggiunto un sogno, da solo, con la mia forza fisica e la mia forza mentale.
C’è una frase bellissima di uno dei mie film preferiti che dice :
How much do you know about yourself if you’ve never fought?
Ed è proprio cosi, nel momento in cui devi lottare scopri te stesso, le tue paure, le tue ombre, le tue certezze e la tua vera forza.
Era quasi l’una di notte, avevo percorso 300 km, 710 da venerdi pomeriggio.
Ce l’avevo fatta.